L’idrocefalo post-emorragico (PHVD) è una complicanza dell’emorragia intraventricolare (IVH), ed è caratterizzato da una progressiva dilatazione dei ventricoli cerebrali. La parola Idrocefalo deriva dal greco “idrokefalon” che si può tradurre con “(malattia) dell’acqua nella testa”. Il primo ad utilizzare questo termine fu proprio il più famoso tra i medici dell’antica Grecia, Ippocrate, ma ci vollero molti secoli e molti altri studiosi per capire effettivamente dove si andasse ad accumulare il liquido che sembrava aumentare a dismisura la dimensione della testa dei neonati affetti da questa patologia. Infatti, solo dopo il ‘500 con Vesalio, si scoprì l’anatomia del cosiddetto “sistema ventricolare”, e ci vollero ancora almeno 3 secoli per capire come vi circolasse il liquido all’interno.
Focus on: il sistema ventricolare
Tutti sappiamo che il cervello è contenuto all’interno della scatola cranica, che lo protegge da urti e scossoni. Ebbene, all’interno della scatola cranica, è ulteriormente protetto da un liquido, il Liquor Cefalo-Rachidiano, che lo bagna e lo tiene al riparo soprattutto dai contraccolpi. Questo liquido è chiarissimo, viene addirittura paragonato all’acqua che sgorga dalla fonte rocciosa- “acqua di roccia”– ed è prodotto da alcune strutture che fanno parte del sistema ventricolare: i plessi corioidei. Queste strutture sono presenti all’interno di ciascun ventricolo-cavità poste nelle profondità del parenchima cerebrale e separate dal resto del tessuto funzionale- e producono ininterrottamente il liquido che circola in questo sistema, formato appunto da ventricoli (ne esistono 4, due laterali, posti in ciascuno dei due emisferi, il terzo ventricolo che collega i primi due e il quarto ventricolo, a livello del cervelletto), forami di comunicazione e un piccolo tubicino detto “acquedotto del silvio” che mette in comunicazione il 3 ventricolo con il 4, dove, tramite i forami di Luschka e Magendie, il liquido uscirà andando a circondare tutta la corteccia, a livello della quale verrà poi riassorbito.
Il liquor viene prodotto e riassorbito più volte al giorno, potendo paragonare questo sistema ad un lavandino con un rubinetto sempre aperto e lo scarico sempre libero di far defluire l’acqua.
Esistono vari ostacoli che possono provocare un blocco al flusso del liquor all’interno del sistema ventricolare e quindi causare un Idrocefalo; in particolare, però, il termine “idrocefalo post-emorragico”, utilizzato per la prima volta nel 1967 da due studiosi, Murtag e Lehman, va ad indicare specificamente la dilatazione dei ventricoli cerebrali che si sviluppa come complicanza della prematurità.
È intuitivo, a questo punto, comprendere come una qualsiasi ostruzione a livello del sistema ventricolare, provochi un “guasto idraulico” che impedisce a questo liquido di fluire all’interno del sistema stesso, causando così un accumulo di liquor che a sua volta dilata progressivamente i ventricoli, i quali si riempiono similmente a palloncini.
Idrocefalo post-emorragico: chi colpisce?
L’idrocefalo post-emorragico ,come abbiamo già detto, è una complicanza dell’emorragia intraventricolare (IVH), quindi anche in questo caso i bambini più frequentemente colpiti sono quelli nati prima del termine della gravidanza (ossia prima della 37°settimana di gestazione), in particolare quelli con peso alla nascita inferiore a 1500g sono i neonati a maggior rischio di sviluppare IVH e quindi di incorrere nella complicanza dell’idrocefalo post-emorragico. Il rischio, inoltre, aumenta all’aumentare della gravità dell’emorragia, in quanto più la quantità di sangue riversata nei ventricoli è grande, più è alta la possibilità che si formino coaguli che possano bloccare le vie di comunicazione del sistema ventricolare oppure il riassorbimento del liquor stesso.
Quanto è frequente?
Questa patologia colpisce approssimativamente il 25-30% dei neonati che sviluppano IVH, sempre ricordando che il rischio è direttamente proporzionale all’entità dell’emorragia stessa.
Quali sono le complicanze?
La complicanza più temibile è l’aumento della pressione intracranica e la derivante compressione del tessuto cerebrale (in questa fase ancora impegnato nella replicazione e migrazione cellulare) che circonda i ventricoli. A facilitare il compito di impedire questo innalzamento è la nota elasticità della scatola cranica dei neonati, che tramite le suture e le fontanelle, riesce ad adattarsi alla progressiva dilatazione dei ventricoli, senza che la pressione intracranica salga drammaticamente. Questo meccanismo però ha dei limiti.
Come si cura?
Una dilatazione, anche minima, del sistema ventricolare a seguito di una emorragia intraventricolare è, purtroppo, una eventualità frequente nelle terapie intensive neonatali. E’ per questo che tutti i bambini che hanno sviluppato una emorragia vengono monitorati a giorni alterni, effettuando una ecografia transfontanellare, che permette ai neonatologi di visualizzare i ventricoli, misurarli e monitorarne l’eventuale dilatazione. Fin tanto che alcuni parametri (misurati durante l’ecografia) rimangono al di sotto di precise soglie stabilite, il trattamento non prevede nessuna terapia invasiva, semplicemente una vigile attesa. Nel 15% dei casi, però, l’idrocefalo è progressivo e si rende necessario, per preservare il tessuto cerebrale, un intervento chirurgico che aiuti il liquido a defluire in modo da sgonfiare i ventricoli; questo intervento si chiama “derivazione ventricolare esterna”. È importante la tempestività della terapia al fine di scongiurare una velocissima e grave dilatazione di tutto il sistema ventricolare. Nel nostro ospedale è in uso una tecnica di derivazione esterna che permette ai nostri neurochirurghi di evitare, in una buona percentuale di casi, il posizionamento di una derivazione ventricolo-peritoneale permanente: un tubicino che esce dalla scatola cranica, passa sotto la cute per arrivare dentro la cavità addominale, dove poi rimmarrà per sempre.
Quali sono i problemi che può comportare nel futuro del neonato?
Come per l’IVH, anche per l’idrocefalo ogni bambino reagisce a modo suo, in relazione anche all’entità della dilatazione e al tempismo con cui si è avviata la procedura di derivazione esterna, nei casi in cui si fosse resa necessaria. E’ possibile che alcuni bambini riacquisiscano la capacità di riassorbire il liquido, e quindi che il loro osistema ventricolare ritorni a funzionare autonomamente (senza bisogno che il liquido venga drenato), oppure può succedere che necessitino di un ulteriore intervento che renda definitiva la deviazione del liquido, tramite la già citata derivazione ventricolo-peritoneale.
Dr.ssa Ilaria Giordano