La leucomalacia periventricolare

leucomalacia periventricolare

“Leucomalacia periventricolare” (PVL) significa letteralmente “rammollimento della sostanza bianca intorno ai ventricoli”: definisce una tipologia di lesione cerebrale tipica del neonato pretermine. Il nome della patologia nasce nel 1962 dal lavoro di due bravissime anatomopatologhe, esperte di studi nella neurologia perinatale (ascolta il podcast qui per saperne di più). La PVL è caratterizzata dalla necrosi (ossia distruzione) più o meno estesa della sostanza bianca (importante tessuto costituito da cellule gliali e da fibre nervose) intorno ai ventricoli cerebrali.

Leucomalacia: chi colpisce?

La PVL è una lesione tipicamente associata alla prematurità, che colpisce prevalentemente i neonati nati tra le 26-27 e le 32 settimane di età gestazionale. Molto più raramente può trovarsi in neonati pretermine di età gestazionale più grande, di 32-34 settimane.

Quanto è frequente?

Recenti studi epidemiologici dimostrano una generale tendenza alla diminuzione dell’incidenza della PVL negli ultimi decenni.

La forma cistica, più grave, caratterizzata da cavitazioni della sostanza bianca facilmente identificabili mediante ecografia e risonanza magnetica, colpisce – nelle moderne Terapie Intensive Neonatali – meno del 5% dei neonati con peso alla nascita inferiore a 1500 grammi. Più frequenti sono le forme minori, cioè una sofferenza di grado minore nella sostanza bianca, ove si rilevano limitate, quasi microscopiche aree di necrosi, singole o multiple; queste lesioni minori possono non essere identificabili mediante ecografia, mentre alla risonanza magnetica si possono rilevare altre anomalie di segnale, definite “lesioni puntate” (“punctate lesions” per gli autori anglosassoni). Tali anomalie possono colpire più del 10% dei neonati con peso alla nascita inferiore ai 1500 grammi.

Quali sono le cause?

I meccanismi che portano alla comparsa della leucomalacia periventricolare, alcuni dei quali ancora oggetto di ricerca, sono complessi, non cosi facilmente riferibili a una generica ischemia di quelle aeree, un tempo ritenuta una spiegazione sufficiente. Oggi si ritiene che si instauri, probabilmente già a partire dalla vita, un’infiammazione che coinvolge alcune cellule dette intrauterina pre-oligodendrociti, presenti nella sostanza bianca cerebrale proprio per regolarne il suo sviluppo. Questa popolazione di cellule è estremamente vulnerabile all’ischemia (insufficiente apporto di sangue dovuto anche all’immaturità dei meccanismi di autoregolazione del flusso sanguigno cerebrale) e all’infiammazione, fenomeni che fanno spesso parte della storia perinatale (prima, durante o dopo il parto) di questi fragili neonati.

Quando compare?

Le lesioni compaiono solitamente nelle settimane successive alla nascita, ma sempre prima dell’età del termine (prima della data in cui la nascita era stata inizialmente prevista, ovvero prima delle 40 settimane di età gestazionale). Nell’arco di poche settimane, il danno si arresta e le lesioni si stabilizzano, trasformandosi in “cicatrici” permanenti.

Come si cura?

Non esiste una terapia specifica in grado di riparare il danno della sostanza bianca causato dalla leucomalacia periventricolare.

Seguire questi neonati nel tempo (servizi di follow-up) è necessario e raccomandabile per identificare tempestivamente l’eventuale necessità di avviare un trattamenti abilitativi come fisioterapia e psicomotricità, tra gli altri. Questi ultimi, quando indicati, sono di fondamentale importanza per consentire al paziente di ridurre al minimo l’impatto delle lesioni sulle funzioni neurologiche, sfruttando al massimo le potenzialità e la capacità di compenso del sistema nervoso centrale (plasticità neuronale).

Quali problemi può comportare per il futuro del neonato?

Una diagnosi di leucomalacia periventricolare aumenta il rischio di problemi neurologici, in particolare di tipo motorio, specie quando compaiono all’ecografia o alla risonanza quelle cavitazioni, quelle lesioni che dicono quanto esteso è stato il danno. Il quadro più tipico è quello di un deficit motorio a carico degli arti inferiori, noto come diplegia spastica (fin dal 1862 era definita come “morbo di Little” perché fu il Dottor William J. Little fu il primo a definire queste difficoltà motorie nei nati pretermine). Si tratta di un deficit che può essere di vario grado: da lieve, con deambulazione autonoma possibile, a grave, con necessità di ausili come la sedia a rotelle. In alcuni casi è coinvolta anche la funzione motoria degli arti superiori. Molto meno frequenti, ma possibili, sono i deficit della sfera cognitiva ed i disturbi visivi.

Questi disturbi si evidenziano solitamente dopo 6-9 mesi dalla data in cui la nascita era stata inizialmente prevista, sebbene alcuni segni sfumati siano talvolta già identificabili precocemente da parte dei professionisti sanitari all’età corretta di 3 mesi.

 

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