Con i primi passi avanti della ricerca, la speranza di vita dei bambini pretermine aumenta sempre di più, così come aumenta la capacità dei neuroscienziati di guidare le scelte mediche e le successive cure. I ricercatori però stanno soltanto iniziando a comprendere le conseguenze che la nascita prematura ha nel lungo termine sul loro sviluppo cerebrale.
Da recenti studi approfonditi si sta imparando che il bambino prematuro è maggiormente esposto, rispetto a quanto si pensava in precedenza, allo sviluppo di problemi cognitivi e comportamentali; secondo alcuni scienziati, la metà di essi li svilupperà. I ricercatori si chiedono se questo potrebbe essere evitato, oltre a come si possa prevedere il miglior supporto educativo per i bambini con questo tipo di problematiche.
Solo pochi studi a oggi hanno seguito i bambini prematuri nel lungo termine, perché le ricerche con sofisticati test cognitivi e comportamentali richiedono tempi lunghi e costi molto onerosi.
Una delle prime ricerche sull’entità dei problemi di sviluppo è stata EPIPAGE. Il progetto si basava su un gruppo di nati tra la 22° e la 32° settimana nel 1997, provenienti da 9 regioni della Francia, più un gruppo di riferimento rappresentato da 664 nati a termine. Quasi la metà dei bambini prematuri all’età di 5 anni mostrava qualche genere di disturbo dello sviluppo neurologico.
A metà degli anni ’80, lo psicologo dello sviluppo bavarese Dieter Wolke ha portato avanti uno studio su centinaia di bambini nati tra la 26° e la 31° settimana di gestazione. Wolke ha svolto delle valutazioni sui pazienti a 6 anni, per poi riesaminarli in età adulta, a 26. Nel 2014 ha reso noto che la maggior parte dei bambini che avevano problemi cognitivi da piccoli li mantenevano da adulti.
I ricercatori ritengono che quando il cervello è costretto a portare avanti buona parte del suo sviluppo al di fuori del ventre materno, esso riceve segnali non corretti dall’ambiente esterno: ciò condiziona il modo in cui i neuroni si connettono nelle apposite reti. Il cervello prematuro viene sottoposto a svariati input sensoriali, come le stimolazioni visuali e gli effetti della gravità. Alcune di queste stimolazioni sensoriali innaturali sono inevitabilmente legate alle procedure mediche intensive che permettono al bambino prematuro di sopravvivere.
Studi effettuati utilizzando la risonanza magnetica su questi bambini supportano l’idea che alterazioni nelle reti neuronali abbiano un ruolo chiave nei problemi cognitivi. La ricercatrice Petra Huppi (neonatologa e pediatra all’università di Ginevra in Svizzera) sta conducendo uno studio clinico sull’eritropoietina (EPO), un farmaco che stimola la produzione di globuli rossi. Il trattamento con EPO è già uno standard per aiutare l’ossigenazione degli organi interni e si ritiene possa proteggere i neuroni.