Mi chiamo Laura, e questa è la nostra storia.
A Marzo 2009, mi accorgo di aspettare un bimbo, il primo. A luglio di quell’anno avrei compiuto 40anni…. Mi sembrava un bellissimo regalo.
Ad ottobre, intorno alla 33esima settimana di gestazione, di una bellissima gravidanza, mi accorgo di non sentire più i movimenti del bambino. Più nulla.
Vado al PS, il cuoricino batte ma bisogna approfondire.
Mi ricoverano, cominciano gli accertamenti.
Durante uno di questi controlli, un’ecografia, mi accorgo che qualcosa non va.
C’è agitazione, ed imbarazzo. La dottoressa che la esegue chiama alcuni colleghi per consultarsi…. Tutti chini sulla mia pancia…. Tutti a guardare, c’è concitazione, faccio domande, sono in tanti, mi dicono che non possono esprimersi, che hanno qualche dubbio.
Chiamano il responsabile della diagnosi prenatale, continuano con quel maledetto ecografo… Avanti e indietro.
Poi chiedono l’intervento di una psicologa.
Mi crolla il mondo.
Comincio a piangere, chiedo di sapere.
Mi dicono: a suo figlio non si é sviluppata una parte del cervello, mi parlano di agenesia cerebrale.
Solo una risonanza potrà essere più precisa.
Mi fanno chiamare mio marito che mi raggiunge ed in ambulanza ci portano in un ospedale vicino, dove eseguire la risonanza.
Lì ci chiedono di non fare domande. Saranno necessari alcuni giorni per studiare le immagini ed avere il referto.
Dopo tre interminabili giorni arriva la diagnosi: emorragia intraventricolare bilaterale. Evento rarissimo in fase prenatale.
Il bambino intanto è in uno stato di “coma”. Non si alimenta, non muove gli occhi… E l’emorragia continua il suo corso…
I ventricoli continuano ad allargarsi, li monitorano due volte al giorno.
In quei giorni tramite la mia famiglia (mio cognato è un chirurgo), inviamo il dischetto con le immagini a medici esperti di diagnosi prenatale. Non danno speranze. Ci viene suggerito l’aborto terapeutico, che in Italia a quest’epoca gestazionale, non è consentito.
Bisogna andare in Francia, fare un parto in piena regola e di fatto uccidere tuo figlio.
Qui invece nessuno può sapere cosa sarà con tale shock neurologico. Le ipotesi sono danni fisico cognitivi e anche stato vegetativo.
Poi l’incontro con un medico illuminato, nella mente e nel cuore. Luca Ramenghi.
Di notte studia il dischetto con la risonanza di nostro figlio, ci da la forza anche psicologica per andare avanti.
Rimango in ospedale, sino alla fine della gravidanza, il 23 Novembre nasce Nicola.
I giorni e i mesi a seguire saranno accompagnati da un unico mantra: day by day.
Non sapevamo se nostro figlio si sarebbe alimentato, avrebbe visto, gioito o camminato.
È stato tutto molto difficile… Siamo stati molto fortunati.
Ma mai potremo dimenticare i bambini e le famiglie che abbiamo incontrato nel nostro percorso, che hanno avuto esiti difficili o drammatici.
Mai potrò dimenticare le mamme abbracciate ed incontrate nel reparto di neurochirurgia infantile dell’Ospedale Gaslini.
Tutto da allora é cambiato.
Con la nostra storia non vogliamo alimentare inutili speranze, ma testimoniare con forza che il cervello dei neonati deve e può essere studiato di più e meglio.
Noi ci impegneremo per sostenere Eu-Brain.