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CHE COS’È LA TROMBOSI VENOSA CEREBRALE?
La trombosi venosa cerebrale è una lesione cerebrale che colpisce prevalentemente i neonati a termine e che è considerata molto rara. Ha un’incidenza di uno ogni 5000-15mila nati. In realtà, è con certezza sottostimata. Spaventa perché, come vedremo, può avere una sua progressione e che consiste nella trombosi dei vasi venosi cerebrali.
Spesso riguardano i vasi venosi più grandi che si chiamano seni e quindi si chiama anche col termine inglese “sinus venus thrombosis“, da qui trombosi seno-venosa, comunque nel territorio venoso. La rarità è sicuramente inficiata dalla difficoltà della diagnosi.
COME SI DIAGNOSTICA IN ETÀ NEONATALE?
Quando si fa diagnosi in età neonatale di queste patologie si usano due metodiche: l’ecografia cerebrale transfontanellare e la risonanza magnetica cerebrale. Con la risonanza magnetica cerebrale è molto più facile andare a identificare questa presenza di trombi all’interno dei seni venosi o più difficilmente l’assenza di flusso venoso, che può essere visto anche con il doppler venoso cerebrale.
Questa condizione, come già detto, colpisce più frequentemente il neonato a termine che può avere un esordio “clinico” anche subdolo, con una progressiva minor brillantezza clinica, almeno vivace, fino a perdere il neonato o fino ad avere anche delle convulsioni quando è coinvolto il parenchima.
Questa è la condizione della trombosi venosa cerebrale. E spaventa perché la progressione fa sì che nel sistema venoso, come se si chiudesse un ruscello a monte, aumenta la pressione venosa. Quindi, il circolo arterioso non riesce a nutrire quelle zone di parenchima cerebrale che vanno incontro a questa ipertensione venosa progressiva.
E si hanno anche facilmente dei sanguinamenti intra-ventricolari nel neonato a termine che, invece, come sappiamo, sono dei sanguinamenti più frequenti della prematurità.
Ci si può accorgere anche di questa condizione, perché il neonato ha un’emorragia intraventricolare e quantomeno questa condizione va esclusa dalle cause dell‘emorragia intraventricolare attraverso una risonanza magnetica cerebrale.
In altre parole, se io ho un bambino sintomatico con delle convulsioni, faccio un’ecografia cerebrale e vedo un’emorragia intraventricolare, devo sicuramente fare una risonanza per escludere che questa non sia dovuta a una trombosi.
PERCHé È IMPORTANTE DIAGNOSTICARE LA TROMBOSI VENOSA CEREBRALE?
Perché anche se è una lesione molto importante, rara – si può vedere la storia del nostro bambino Alberto, nato negli Stati Uniti e poi trasferitosi in Italia per curare questa patologia presso il nostro centro – può essere suscettibile di trattamento.
Si possono trattare sia le complicanze come la dilatazione dei ventricoli, dovuta a un’emorragia interventricolare, sia con una dose di un certo “coraggio” terapeutico, anche se c’è un’emorragia interventricolare dare l’eparina per scoagulare il bambino e aprire questi seni venosi, perché il problema è proprio quello.
Difficilmente è già presente quando uno nasce e solitamente si sviluppa nei primi giorni di vita fino alle due-tre settimane di vita dà segno di sé.
Qualche volta colpisce quei neonati che chiamiamo “late-preterm” (prematuri tardivi), cioè quelli che nascono tra trentadue e trentasei settimane di gestazione. È proprio prima del compimento del termine che la sintomatologia è più subdola. Anche in questo caso, ci si accorge di questa patologia perché avvengono delle emorragie intraventricolari non giustificate per l‘età gestazionale (è infatti un’età gestazionale, seppur pretermine, a basso, bassissimo rischio di emorragia intraventricolare).
ESISTE UN’ESPOSIZIONE GENETICA A QUESTA PATOLOGIA?
La trombosi venosa cerebrale è più frequente in quelli che hanno una condizione genetica che prende il nome di trombofilia. Ovverossia, ci sono delle alterazioni nel sangue che favoriscono con una certa facilità la formazione di trombi e questi trombi si formano più facilmente dove c’ è un sangue che corre a bassa velocità.
È facile da intuire, no? L’alta velocità è quella delle arterie. E infatti oggi sappiamo che la trombofilia non influenza la formazione di trombi nel sistema arterioso, ma viceversa influenza la formazione di trombi nel sistema venoso.
Senza entrare nei particolari, la trombofilia è data dai difetti genetici. Ce ne sono di vari tipi, con delle alterazioni di quelle sostanze che entrano nel meccanismo di mantenere l’equilibrio tra essere “non scoagulati” e “non troppo coagulati”. Se uno ha più di uno di questi difetti genetici, ovviamente il rischio aumenta.
Ad esempio, quando ci sono due di questi tipi di rischi genetici, il rischio d’incorrere nella trombosi venosa cerebrale aumenta di 11-12 volte. Gioca un ruolo importante l’interazione tra ambiente e una condizione genetica predisponente.
La trombofilia, in Italia, ha un’incidenza come stato di portatore in eterozigosi dell’ordine del 2%; nei paesi nord europei, è ancora più elevata.
Quindi, in altre parole, è una condizione rara, sottostimata, che può dare lesioni importanti bilaterali nel parenchima per quel gioco di pressioni aumentate nel sistema venoso che fanno sì che piano piano, la sostanza bianca “si infarcisca” purtroppo bilateralmente, comportando quindi una possibilità di intervento se viene diagnosticata in tempo. In più, il processo spesso è piuttosto lento e quindi lascia spazio con grande soddisfazione ad un intervento terapeutico.
Questa patologia ha una serie di problemi a distanza dell’ ordine al 30/40% di problematiche epilettiche comunque gestibili e di problematiche motorie e per questo, necessita di una attenta valutazione e conoscenza della patologia stessa, che in modo altrettanto deciso deve poter ben prevedere anche un trattamento farmacologico con anticoagulanti come l’eparina.
di: prof. L.A. Ramenghi